Il Graukäse, il formaggio grigio

Son tempi di magro. L’imperativo salutista attuale pare aver condannato la parola grasso ad una sorta di parolaccia. La demonizzazione dei grassi, che in quantità esagerate – ma questo si applica a qualsivoglia esagerazione – non aiutano certo a realizzare l’ideale di vita lunga e sana che tutti ci prefiggiamo, ci impone la ricerca anche di prodotti caseari con basso contenuto di grassi.

Naturalmente i produttori ed i distributori si stanno adeguando a questa tendenza e sempre più spesso leggiamo sulle confezioni al supermercato che il prodotto in vendita non contiene più del tot % di grassi. In questi casi siamo di fronte ad alimenti ai quali è stato tolto il grasso che è naturalmente presente nel latte, i cosiddetti “prodotti alleggeriti”.
Esistono tuttavia prodotti che già in natura presentano questa caratteristica. Parliamo del poco noto formaggio altoatesino graukäse. Un formaggio che è realmente magro di natura, con un contenuto che non supera il 2% di materia grassa sul residuo secco. Si tratta di un formaggio piuttosto inconsueto e poco conosciuto considerata la produzione a carattere strettamente regionale. A causa della graduale diminuzione della produzione, nel 2005 è stato inserito tra i Presidi Slow Food proprio allo scopo di salvaguardarne l’esistenza.
Il graukäse è un formaggio di origine altoatesina, specificamente della Valle Aurina. Si tratta di una zona che sale dalla più nota Val Pusteria e che si caratterizza per una forte componente germanica nella sua tradizione. In Valle Aurina veniva prodotto soltanto a livello familiare e, insieme a pochi altri semplici alimenti presenti in quei paesini, ha permesso la sopravvivenza delle popolazioni montane.
Il graukäse era un prodotto di ‘recupero: infatti per farlo non si utilizzava  il latte appena munto, ma quello che rimaneva dalla scrematura del grasso utilizzato per la produzione familiare del burro. La cultura contadina ci ha spesso indicato come avere cura del frutto del lavoro dei campi e degli animali utilizzandoli in maniera completa e razionale.
Tra le curiosità legate a questo particolare formaggio, segnaliamo che fino al XIX secolo la sua produzione era riservata alle contadine o le malgare: le uniche a produrlo erano quindi le donne.

La sua preparazione avviene, come dicevamo, partendo dal latte munto in giornata che, una volta scremato, viene lasciato riposare per 24/48 ore a temperatura ambiente. In questo periodo il latte acidifica e si innesta naturalmente una coagulazione acida che dà origine ad una cagliata.
Altra particolarità di questo formaggio è che non viene impiegato alcun tipo di caglio, né naturale né animale, la sola acidificazione del latte ne permette la coagulazione. Successivamente la cagliata viene riscaldata in maniera graduale e delicata e portata ad una temperatura non superiore ai 55° C. Dopo una mezz’ora di riposo, la cagliata viene rotta a mano in modo grossolano. Quindi si aggiunge il sale e, a volte, anche il pepe. A questo punto si mette a  stagionare a temperatura di circa 25° C in forme tonde o rettangolari. Una volta trascorsi 10 giorni le forme possono essere consumate o trasferite in ambienti più freddi per una ulteriore stagionatura che non supera comunque solitamente le 10/12 settimane. Durante la stagionatura il formaggio sviluppa muffe grigio-verdi che danno il nome al formaggio e ne caratterizzano l’essenza: il profumo è molto intenso e penetrante e il sapore è forte e deciso.

L’utilizzo in cucina di questo prodotto è sempre stato molto limitato: si consumava tagliato a pezzetti e condito con olio e cipolla finemente affettata. Il sapore molto fermo del formaggio non aveva bisogno di ulteriori accompagnamenti e la cipolla ne completava il sapore.
Oggi gli chef stanno provando nuovi accostamenti e nuovi piatti con questo formaggio cercando di sfruttarne al meglio le doti. Viste le sue originarie creative, non stupirebbe se una delle proposte più interessanti di utilizzo venisse da una donna…

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Federico Olimpo

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